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IL PAVIDO CHE PREFERISCE SUICIDARSI

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2023 19:58
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05/10/2023 19:58

IL PAVIDO CHE PREFERISCE SUICIDARSI

di Francesco Caracciolo


La prima immigrazione in Italia giunse soprattutto dall’Oriente negli ultimi decenni del Novecento. I barconi e gli sbarchi provenivano specialmente dall’Albania. Tanta gente straniera che arrivava era una sorpresa e destò allarme nella popolazione. Dopo tante riflessioni, politici, ministri, opinionisti concludevano che gli sbarchi erano molti, le coste lunghe migliaia di miglia e l’Italia da sola non poteva impedire il numeroso e crescente afflusso di disperati in cerca di riparo e di fortuna. Politici e dirigenti italiani spiegavano che per bloccare gli sbarchi doveva intervenire l’Europa, la Ue, perché era evidente che l’Italia da sola non poteva farcela. All’inevitabile accoglienza seguirono tre leggi e il capestro Dublino, ideati da ministri e politici come Martelli, Napolitano, Bossi, Maroni. Gli sbarchi continuarono e andarono sempre più aumentando. Ministri e politici continuarono a ripetere che l’Italia da sola non poteva farcela a impedire gli sbarchi e che doveva intervenire l’Europa. Questo ritornello lo ripeterono sempre, lo stesso, invariato: l’Europa deve intervenire. Ma l’Europa non interveniva e faceva orecchie da mercante avendo gli stessi guai in casa dei suoi membri. E non intervenne mai, anche se suoi rappresentanti facevano vaghe promesse. O meglio, fece finta di intervenire prendendo blandi e fallimentari provvedimenti, come Mare Nostrum e Operazione Triton, quando gli sbarchi crebbero a dismisura e si spostarono sulle coste tirreniche provenienti dall’Africa. Anche allora ministri e politici italiani continuarono a ripetere che l’Europa doveva intervenire. E l’Europa finalmente si mosse: nell’ottobre 2013, dopo un naufragio, il commissario per gli affari interni dell’Unione Europea, Cecilia Malmström, si recò in Sicilia, visitò, osservò, discusse e promise mare e monti. Alle sue promesse non seguì alcunché, nulla. Gli Italiani continuarono ad auspicare l’intervento dell’Europa. Dopo oltre 25 anni di speranze e auspici, il governo italiano riesuma un vecchio progetto di inviare, insieme con l’Europa, aiuti agli Stati africani per indurli a impedire l’esodo dei loro abitanti verso l’Italia. Questi progetti, questi auspici avranno esiti lontani, se li avranno, di là da venire. Vecchia, quasi trentennale, è l’attesa dell’intervento, dell’auspicato aiuto dell’Europa. E dopo tanta attesa di tanti decenni, il governo italiano invita la presidente della Commissione europea, von der Leyen, a visitare Lampedusa per rendersi conto del disastro, come se per misurare l’entità del disastro, fosse necessario vederlo da vicino. La von der Leyen venne a Lampedusa, visitò, osservò, discusse e promise, come nel 2013 era venuta, aveva visitato e aveva promesso la commissaria europea Malmström. Promise soluzioni drastiche. E certo il respingimento dei migranti al punto di partenza è l’unica soluzione efficace che finora è stata sperimentata. Non è del maggio 2009 il primo respingimento fatto al tempo del ministro Maroni con successo, anche se bocciato dall’Europa? Ma allora l’Italia è stata pavida, non proseguì continuando a respingere e cedette alle minacce dell’Europa. Fu spaventata dagli avvertimenti fatti dall’Europa del passo falso che avrebbe fatto violando le convenzioni internazionali concernenti i diritti umani. Ma l’Europa, l’Ue, poteva fare altro, allora e prima di allora? Doveva limitarsi ad avvertire e a disapprovare formalmente, mentre i suoi Stati membri dichiaravano il contrario e proibivano gli accessi e respingevano ognuno per conto suo. Gli avvertimenti e la formale disapprovazione dell’Europa non nascondeva forse un invito a fare da sé, come facevano i suoi Stati membri respingendo? Ma i politici italiani non furono tanto acuti da cogliere l’invito sottinteso. Furono invece pavidi e continuarono e continuano a chiedere e ad auspicare l’esplicito consenso e l’effettivo aiuto, l’impossibile intervento aperto dell’Europa.

Francesco Caracciolo
già prof. ord. dell’università di Messina
www.francescocaracciolo.it
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